PUF! MAGIA! parte prima

Non molto tempo fa in una piccola casa di periferia con le porte celesti e una finestra piena di fiori viveva una vecchina. Aveva ormai ottant’anni ma era molto attiva, andava a prendere i nipotini a scuola due volte a settimana,  il martedì faceva la spesa nel negozio sotto casa e il sabato prendeva un caffè in centro con la signora Maria; tutti la conoscevano e le volevano bene. Portava un paio di occhiali da vista molto grandi attraverso i quali si intravedeva la scintilla dei suoi occhi e amava vestirsi con gonne ampie, lunghe e colorate con disegni di animali. Il suo unico fedele compagno di vita era Toby, un piccolo cane bianco con due macchie ramate sul dorso e un nasino rosato sempre bagnato. Toby nascondeva un segreto: era un cane magico!

Succedeva spesso che la vecchina cadesse per strada a causa delle sue gambe malferme, oppure che si tagliasse mentre cucinava o cuciva. Toby aveva il dono di curarle le ferite, leccandole. Dalla sua lingua uscivano delle scintille colorate e PUF! Magia! le ferite scomparivano come di incanto!

La vecchina aveva due figli, una femmina e un maschio. Le volevano molto bene ed erano angosciati per lei perché non faceva mai attenzione a dove mettesse i piedi. “Prima o poi si farà male sul serio!” pensavano preoccupati non sapendo che Toby fosse in grado di aiutarla. Essi credevano che l’unica soluzione possibile fosse il trasferimento in una casa di riposo.

Un giorno, appena uscita di casa con il suo cane, la vecchina si inciampò su un marciapiede e si fratturò il piede. L’ambulanza, chiamata prontamente dai vicini, la portò all’ospedale della città. Fortunatamente l’aveva accompagnata anche Toby che con una leccatina… PUF! Magia! il suo piede tornò subito a posto, ma lei fu portata comunque all’ospedale per un controllo. I suoi figli arrivarono trafelati e anche molto arrabbiati “Ti avevamo detto di fare attenzione!” urlarono e poi “BASTA! È il colmo, ti portiamo a San Grigiario!”. “Non mi portate!” piangeva la vecchina “Starò a casa tranquilla! C’è Toby che si occupa di me! Non vi preoccupate!”.

La vecchina aveva tutte le ragioni per non voler andare: chi voleva vivere in un edificio buio, grigio ed anonimo?  San Grigiario, infatti, non era un normale ospizio: si diceva fosse il peggiore di tutta la regione. Il direttore, la vecchina non l’aveva conosciuto, ma una sua amica le aveva riferito che usasse maltrattare non solo gli ospiti del suo ospizio ma tutti coloro che gli passavano davanti e una volta aveva addirittura dato un calcio ad un bambino che gli era di impiccio per attraversare la strada “Togliti moccioso!” aveva urlato e poi “Sono in ritardo!”. “È una brutta persona, e pensare che suo figlio Martin era considerato da tutti i vecchietti un così bravo ragazzo!” Le avevano raccontato che studiasse da avvocato e nel tempo libero facesse tanta compagnia agli ospiti di San Grigiario!

Nonostante la vecchina fosse fermamente contraria, fu fissato il trasferimento a San Grigiario proprio il giorno del suo compleanno: “Che brutto regalo che mi stanno facendo!” si era confidata con il suo cane, “Meno male che almeno tu non mi lasci! Continueremo ad essere felici insieme! Non importa dove andremo o cosa faremo, tutto ciò che ci serve è la nostra amicizia”.

Il giorno prefissato la vecchina e il suo fedele cane furono svegliati all’alba dall’incessante suono del campanello; aperta la porta di casa, entrò la figlia che la aiutò frettolosamente a lavarsi e a vestirsi: era ora.

Il viaggio dalla casa a san Grigiario durò pochi minuti di macchina e nessuno disse una parola, la vecchina ed il suo cane, nel sedile posteriore, si guardavano con uno sguardo complice. “Eccoci arrivati!” disse la figlia. Il cuore della vecchina iniziò a battere forte prima per l’emozione e poi per la fatica nel salire le scale che portavano all’ingresso. Il portone era di legno di colore spento, la figlia della vecchina suonò, DIN! DON! “Arrivo!” rispose una voce forte e roca e dopo qualche secondo il cigolio dei cardini permise di vedere un luogo grigio e freddo. Un uomo sulla cinquantina, alto, magro e trasandato con una grossa cicatrice sul volto si presentò davanti a loro. Il particolare più significativo erano le scarpe o quello che ne rimaneva; in passato dovevano essere state un paio di mocassini color camoscio ma ora presentavano due grossi buchi sulla punta e macchie sparse di caffè sui lati. “Entrate!” uscì dalla bocca del direttore e poi, con grande cattiveria, urlò: “Cos’è questo? I cani qui non possono entrare!” indicando con rabbia l’adesivo attaccato sul portone con la scritta “NON SONO AMMESSI I CANI”.

“I- I-I- Il mio cane deve stare con me.. si prende cura di me.. non posso stare senza di lui..” biascicò la vecchina. La risposta del direttore risuonò alle sue spalle nel buio: “Non è un problema mio”. La vecchina ed il suo cane non ebbero nemmeno il tempo di dirsi addio che la porta si chiuse con un tonfo. Una limpida e chiara lacrima cadde dai piccoli occhietti di Toby. Come avrebbe fatto la sua padroncina a sopravvivere ed essere felice senza di lui? Era seriamente preoccupato.

Nell’atrio dell’ospizio la vecchina si sentiva come un pesce fuor d’acqua. Lei aveva vestiti colorati ed amava sorridere ma quel posto era troppo grigio e troppo triste per lei. Anche l’arredamento era scuro e scarno: gli unici mobili presenti erano l’immensa scrivania di marmo, una sedia a rotelle e due sgabelli riservati agli ospiti.

Alla vecchina fu assegnata la stanza numero 52, posta al quinto piano e raggiungibile con l’ascensore. Quando arrivò in stanza si accorse della presenza di un solo letto e quando sua figlia se ne andò, la vecchina sentì una tristezza infinita. Era completamente sola.

Pianse, le lacrime uscivano copiose e nessun fazzoletto le poteva asciugare. La sua vita aveva avuto una svolta, niente sarebbe più stato come prima. La vecchina pensò che la serenità che aveva accompagnato la sua vita fino a quel momento sarebbe rimasta solo un ricordo. D’improvviso udì qualcosa: “BAU BAU!” Era un verso conosciuto, la felicità la assalì ed un grandissimo sorriso comparve sulle sue labbra. Non era sola, il suo Toby non l’aveva abbandonata! Si affacciò all’unica e piccola finestra della stanza 52 e lo vide, la sua coda oscillava ripetutamente e la sua bocca era aperta lasciando trasparire la gioia nel rivedere la sua padrona. “Ciao Toby! Che bello rivederti!” gridò e poi “Ti voglio bene! Spero di poterti riabbracciare al più presto”. Il cane abbaiò e la padrona capì che il sentimento era reciproco.

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